Intelligenza Artificiale, tra paure e opportunità

Primo articolo introduttivo che esplora le paure e le opportunità, associate all'intelligenza artificiale, che si affacciano rapidamente al grande pubblico.

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Sviluppatore / Ingegnere informatico / Funzionario, Collaboratore di IProgrammatori

Ricordate cosa dicevano i Borg, i cattivissimi cyborg di Star Trek? “Noi siamo Borg. Le vostre peculiarità biologiche e tecnologiche saranno assimilate. La resistenza è inutile.”

Sarà forse per questo che le capacità ormai sovraumane, perlomeno in alcuni ambiti, dell’Intelligenza Artificiale (AI) hanno iniziato a incutere un certo timore in molte persone, seppure anche con molta curiosità.

Infatti, non c’è quasi giorno che non si parli della AI e di nuove strabilianti applicazioni che consentono di fare cose che pochi mesi fa erano impensabili o che potevano essere svolte solo con grande impegno di tempo, di competenze tecniche e di denaro.

Con questo articolo vogliamo inaugurare un filone tematico che speriamo possa fare un po’ luce in quel mare variegato che è l’AI, per capire soprattutto quali sono gli aspetti su cui bisogna fare attenzione, ma anche quali sono le opportunità che ci permette l’AI nella nostra vita personale e lavorativa, con una spesa minima o addirittura nulla.

In questi primi articoli faremo una carrellata molto discorsiva sulle implicazioni della AI, poi più avanti vedremo aspetti più pratici e tecnici, con delle applicazioni concrete di questa nuova realtà.

La nuova corsa all’oro

In questi ultimi tempi tutti parlano di Intelligenza Artificiale: telegiornali, giornali, governi, politici, aziende, sindacati, lavoratori, social network, esperti e meno esperti. La AI inizia a essere presente spesso anche nella pubblicità di alcuni prodotti “intelligenti” (automobili, smartphone e molti altri).

Sembra essere iniziata la nuova “Corsa all’oro” che nel 19° secolo, soprattutto negli Stati Uniti d’America, ha coinvolto migliaia di persone, messe in competizione tra di loro per riuscire a trovare la vena d’oro fortunata, in Alaska, in Klondike, in California e altrove.

È passato ormai circa un anno e mezzo da quando OpenAI, la ormai nota startup americana, è uscita allo scoperto e dai suoi laboratori di ricerca ha messo a disposizione del vasto pubblico l’ormai famoso Chat-GPT, ora arrivato alla quarta versione “turbo” (e probabilmente nel cassetto c’è una quinta versione ancora non divulgata, ancora più dirompente).

Da quel momento si sono lanciati in questo nuovo mercato altri “player” globali come Nvidia, Microsoft, Google, Elon Musk, X (ex Twitter) e molte altre aziende medio-piccole che si propongono di utilizzare i servizi globali per sviluppare applicazioni concrete in grado di risolvere problemi di vario genere o di trovare nuovi possibili prodotti per la commercializzazione verticale (prodotti ben specifici per aziende di una certa dimensione) oppure orizzontale (per la diffusione di massa).

Ormai non si può più ignorare il fenomeno: bisogna conoscere bene le implicazioni e saperle sfruttare a proprio vantaggio, oppure si rischierà di esserne travolti.

La paura collettiva si basa sull’idea che la AI diventerà così capace che sarà in grado di sostituire le persone in molte attività lavorative che finora erano di prerogativa umana: non solo le attività manuali (la robotica industriale è ormai realtà da decenni, ma sarà fortemente potenziata dalla AI), ma anche e soprattutto le attività di tipo intellettuale e creativo (creazione di immagini artistiche e di interi libri, formazione scolastica, pratica medica, progettazione di software o di oggetti fisici e costruzioni ecc.).

Oltre agli aspetti positivi, quindi, bisogna tenere conto di aspetti etici e sociali che potrebbero ribaltare gli equilibri molto precari della nostra società, fino a sconvolgerla nelle sue stesse fondamenta.

Paura delle novità

La storia è piena di aneddoti che raccontano di paure collettive. Ogni fatto, ogni nuova invenzione, ogni nuova situazione, nel tempo, ha generato paure, insicurezze, rifiuto del nuovo.

Gli animali temono il fuoco… sicuramente i primi uomini della preistoria avranno avuto a loro volta paura del fuoco generato dai fulmini, ma poi l’hanno dominato. La locomotiva a vapore era considerata un mezzo del demonio. L’elettricità, appena introdotta nelle città, veniva rappresentata sui giornali come qualcosa di micidiale, in grado di uccidere persone e animali.

Che dire, poi, della paura della fine del mondo nell’anno 1000 e la sua versione aggiornata del “millennium bug” dell’anno 2000, in cui si pensava che tutti i computer avrebbero cessato di funzionare e quindi si temeva un collasso mondiale di tutti i sistemi basati sull’informatica? Questa paura la vedremo sicuramente riproposta nel 2038, quando i sistemi di registrazione delle date andranno in overflow, per le limitazioni del tipo di dati utilizzato.

In seguito, c’è stata di nuovo la paura della fine del mondo (questa è ricorrente), nel 2012, a causa di un calendario Maya che non andava oltre quell’anno (forse per motivi di spazio?). Questa invece è rimandata nel 2116, secondo nuovi calcoli.

Nostradamus, è stato nella storia il “guru” delle calamità e delle sventure che, secoli dopo, sarebbero capitate, anche se è tutto ancora da dimostrare, perché le “centine” sono talmente generiche che possono essere adattate a qualsiasi situazione, un po’ come l’oroscopo, del resto.

Insomma, non c’è epoca in cui l’Umanità non abbia avuto paura di qualcosa, anche più di una cosa alla volta. In pochi casi si trattava di rischi reali, come il pericolo nucleare con tutte le testate missilistiche nucleari pronte a partire durante la “guerra fredda” e ora con la riproposizione del conflitto russo-ucraino. Nella maggior parte dei casi, invece, erano paure assolutamente non giustificabili se non per una ignoranza diffusa, soprattutto dal punto di vista culturale e scientifico: chi o cosa non si conosce incute sempre paura.

La AI è solo un’altra delle numerose paure che in questi ultimi tempi si affacciano all’attenzione dei media e quindi del pubblico, in vasta scala.

Paura di perdere il lavoro (cioè di essere sostituiti), paura di manipolazioni di massa (abbastanza verosimile, entro certi limiti), paura di una invasione di alieni, dove ora gli alieni sono le macchine dotate di intelligenza artificiale superiore che si traduce nella AGI = Intelligenza Artificiale Generale, grazie anche ai numerosi romanzi e film di fantascienza.

In quanto al pericolo di manipolazioni, questo vale per qualsiasi cosa venga creata dalla scienza: il problema non sta nelle nuove invenzioni e nelle nuove scoperte scientifiche. Tutto dipende da chi le utilizza: ci saranno (molte) persone che utilizzeranno queste novità per fare del bene e delle persone (speriamo in numero molto inferiore, anche se questo non limita la pericolosità) che le utilizzeranno per fare del male. Non è lo strumento e la conoscenza che sono buoni o cattivi, ma sono le persone che usano lo strumento e la conoscenza secondo la propria coscienza o incoscienza.

Detto questo, certamente ci saranno dei lavori che verranno “assorbiti” dalle nuove intelligenze artificiali e dalla robotica, è già successo durante la storia passata. La rivoluzione industriale e la rivoluzione informatica sono l’esempio principe di questo: le macchine e i software hanno sostituito molti lavori ripetitivi e talvolta pericolosi, dal robot industriale alle applicazioni che elaborano grandi quantità di dati in una frazione di secondo rispetto a quello che potrebbero fare centinaia o migliaia di persone facendolo manualmente.

Conclusione

Nasceranno nuove professioni, nuovi mestieri. Le macchine e le intelligenze artificiali devono essere progettate, mantenute, migliorate. Ci vorranno competenze di nuovi tecnici e nuovi laureati: tipicamente ingegneri, ma anche matematici, filosofi, linguisti e umanisti per dirne alcuni.

Quello che bisognerebbe fare sin da subito (!) è formare le persone a queste nuove professioni, riqualificare i lavoratori per renderli capaci di utilizzare le nuove tecnologie. Solo così si sconfiggeranno le paure e anche il rischio di lasciare “a terra” intere famiglie che ora basano la loro vita e sopravvivenza ai mestieri che un domani potrebbero non esistere più.